giovedì 14 giugno 2018

Mitridate re di Ponto - Croft, Persson; Mikowski - Decca

Lo spettacolo andato in scena nel 2006 a Salisburgo si presenta subito con una regia ragionata, vivace e di impatto (anche se non sempre immediatamente comprensibile). Uno dei suoi pregi è quello di essere andata in deroga alle indicazioni del libretto per cui, come prassi per un'opera che si struttura nel modello classico settecentesco, all'alternanza di recitativi (secchi o accompagnati) e arie si prevede poi l'uscita del personaggio; in questo modo i cantanti sono invece quasi tutto il tempo in scena com-partecipando all'evolversi della trama permettendo una maggiore vivacità e consentendo anche alla regia video di fare delle riprese molto interessanti.
Il cast recita molto bene e canta altrettanto. Anzi, visto il livello alto ci si rammarica un po' che sia stata presentata una versione dell'opera "salisburghese", approntata da Marc Minkowski, Günter Krämer e Jory Vinikour che, oltre a dividerla in due atti, dimezza quasi l'originale, sposta qualche aria, ne elimina altre e compie una sforbiciatura tale dei recitativi che forse non consente nemmeno di comprendere gli avvenimenti con completezza. La versione dunque è ridotta ma è pur vero che si presenta compatta, dinamica e piacevole all'ascolto.
Croft è uno specialista mozartiano; anche se la pronuncia non è sempre ineccepibile, la sua voce lirica e agile gli consente di affrontare con successo l'impervia parte di Mitridate. I due soprani - la Or in Aspasia e la Persson in Sifare - hanno entrambi una linea di canto solida e un fraseggio aderente al testo; la Or manifesta qualche asprezza in alcune note acute soprattutto durante il duetto del secondo atto in cui il confronto con la collega svedese la mette lievemente in ombra. Metha ha un timbro discreto e soprattutto una padronanza della coloratura che lo rende molto convincente nell'unico ruolo che veramente compie una conversione e maturazione durante tutta l'opera. Purtroppo agli altri - tranne la brava Bohlin/Ismene - sono state tagliate le arie. 
Minkowski dirige la sua orchestra come sempre con vivacità e pieno sostegno ai cantanti.
4/5

domenica 10 giugno 2018

La Cenerentola - Donose, Mironov; Jurowski 2005 - Opus Arte

Lo spettacolo andato in scena a Glyndebourne si caratterizza per una regia, quella di Peter Hall, piuttosto classica e narrativa; le scenografie (soprattutto la dimora di don Magnifico) e i costumi sono molto curati e anch'essi tradizionali; buona la ripresa video che valorizza taluni primi piani significativi.
La direzione di Jurowski è brillante ma, come si evidenzia già dalla sinfonia, anche un po' "quadrata" così da ritenere la verve che in alcune scene avrebbe potuto sfogarsi maggiormente (o anche, al contrario, non soffocare troppo alcuni passaggi vocali dei personaggi).
Il cast non è vocalmente omogeneo ma teatralmente è molto affiatato e realizza così una produzione discreta. La Donose, anche se non eccelle tra le varie interpreti del ruolo, è convincente e sfoggia un timbro caldo e accattivante con gravi ricchi ma alcuni acuti un po' sfocati. Mironov appare ancora un po' immaturo e la sua voce un tantino esile non gli consente di essere più incisivo in alcuni slanci soprattutto nelle scene del secondo atto. Alberghini canta ottimamente sia l'aria di ingresso che i duetti quanto nelle scene d'insieme. Di Pasquale recita benissimo (e proprio su di lui le riprese fanno bene a sostare perché il suo volto esprime bene lo svolgersi della vicenda) ed esce vittorioso dalle sue tre impegnative arie (comprensive di sillabato) pur non essendo sempre al massimo la scioltezza nelle agilità. Alidoro avrebbe bisogno di una pronuncia più esatta e di minor affaticamento ma nel complesso tiene bene il personaggio. Al di là delle differenze tra i protagonisti, i concertati e soprattutto il sestetto del secondo atto sono tra le scene migliori della rappresentazione.
L'etichetta Opus Arte inserisce alcuni bonus e sottotitoli in diverse lingue tra cui l'italiano.
3,5/5

lunedì 21 maggio 2018

Death in Venice - Graham-Hall, Shore; Gardner 2013 - Opus Arte

La particolarità di quest'opera - l'ultima composta da Britten e di cui non riuscì a curare personalmente la messa in scena per motivi di salute - è indubbiamente il peso dato al ruolo del protagonista, lo scrittore Gustav von Aschenbach, che domina entrambi gli atti di cui è costituita. Seppure non sia esatto parlare di un lungo monologo, si deve riconoscere che le sue riflessioni e moti del suo cuore, il lento ed inesorabile evolversi dei suoi sentimenti sono l'asse portante di tutto il dramma. A lui si affianca un altro cantate, nel registro di basso-baritono ma con uso anche del falsetto, che interpreta, assommandoli in sè, ben sette ruoli differenti ma che tutti si affacciano sulla vita di Aschenbach e con lui tentano di dialogare come moniti del suo destino. A tal proposito non è inutile notare come però sia soltanto dalla bocca dell'impiegato dell'agenza di viaggio che egli comprende la verità. Infine vi è Tadzio, il giovane polacco che già nel racconto di Mann proferisce poche parole e che nell'opera di Britten è interpretato da un danzatore; lui e la sua famiglia si presentano in scena al suono delle percussioni che sono molto ricche nella partitura e, attraverso il corpo di ballo cui è richiesto un importante contributo, rendono l'opera una sorta di opera totale comprendente recitazione, lirismo e danza. La drammaturgia dell'opera, strutturata in diciassette scene generalmente chiuse da un recitativo libero del protagonista e collegate da transizioni orchestrali, si dipana in un flusso unico che non conosce pause e che tiene sempre desta l'attenzione dello spettatore/ascoltatore.
Si capisce quindi che il ruolo di Aschenbach come anche della compagine orchestrale sono così determinanti da pregiudicare l'esito complessivo di tutta la produzione. 
Quella andata in scena all'English National Opera (che, a differenza del Convent Garden, ha da sempre un forte legame con le composizioni britanniche o tradotte in lingua inglese) nel 2013 è l'occasione per John Graham-Hall di scrivere una delle sue pagine memorabili. Esperto interprete del repertorio di Britten (di lui rimane l'unico attuale video dell'Albert Herring, peraltro), intepreta il ruolo di Aschenbach quasi alla stessa età in cui lo fece Peter Pears. Graham-Hall non ha problemi vocali anche se non più giovanissimo ma per questo rivela una maturità nella voce e nello stile che rendono affascianante ogni momento della sua recitazione. L'espressività e il coinvolgimento si manifestano nella ricchezza di sfumature, nelle mezze voci come anche nella dizione scolpita; i due finali di atto sono memorabili negli slanci lirici e nell'enfasi. Shore recita bene ma non sembra sempre a suo agio nelle diverse tessiture richieste: il falsetto del bellimbusto attempato è forse volutamente sforzato, la linea melodica del gondoliere è alquanto frammentata.
La recitazione rimane alta comunque in tutti i personaggi - come c'è da aspettarsi in una produzione tutta inglese -, anche se i personaggi cantanti da Shore - pur ben fatti - sembrano non essere all'altezza del protagonista che un po' rimane solo nelle sue allucinazioni e nella progressiva decadenza (soprattutto dalla metà del secondo atto in cui anche sullo sfondo compare un sole che sta tramontando).
La regia della Warner è di grande gusto e molto curata sin nei minimi dettagli come anche nelle scene d'insieme come quella degli attori di strada. Per la realizzazione del dvd si deve inoltre riconoscere la maestria della regia video che esalta e rinforza quella teatrale.
L'orchestra diretta da Garden è molto presente e fa sentire tutte le sonorità descrittive. Tra i momenti più significativi: il fraseggio nell'ouverture Venezia, la scena chiave della gondola misteriosa, la presentazione della camera da letto in albergo, la vivacità delle percussioni sulla spiaggia al primo arrivo della famiglia polacca.
Buona la prova del coro (forse un po' troppo invadente in scena al momento dei giochi di Apollo) e anche dei personaggi minori. Tra di essi, si distingue Tim Mead, voce di Apollo, nonostante qualche suono fisso.
Le coreografie sono eleganti e suggestive grazie ai giochi d'ombra.
Purtroppo la casa discografica Opus Arte non ha inserito i sottotitoli in italiano.
5/5

sabato 19 maggio 2018

Death in Venice - Miller, Hendricks; Bartoletti 2008 - Dynamic

La direzione di Bartoletti e la regia di Pizzi realizzano magnificamente il susseguirsi serrato delle diverse scene che compongono l'ultimo capolavoro di Britten. Opera (anche se qualcuno la potrebbe chiamare opera-balletto) che è un vero e proprio tour de force per i due cantanti e anche per il corpo di ballo che in questa edizione si integra perfettamente col significato della drammaturgia. Le coreografie di Iancu sono adeguate alla resa scenica e si distinguono in particolare nella settima scena (quella delle feste di Apollo) per i movimenti stilizzati e arcaizzanti. L'orchestra, che anche in quest'opera Britten volle di dimensioni non ampie - tranne l'esteso gruppo delle percussioni -, rende mirabilmente la sontuosità e la ricchezza richiesta dal compositore con timbri e colori estremamente evocativi (tra gli esempi più chiari: l'inizio lugubre del secondo atto e la magnifica scena del sogno). Il coro, giustamente posizionato nella buca dell'orchestra e da cui escono via via alcune delle voci richieste dal libretto, si esibisce in una prova più che discreta. Non tutti personaggi minori che cantano in scena però sono sempre all'altezza. Vocalmente Miller e Hendricks sono bravissimi. Quest'ultimo, che assomma in sé i sette ruoli da basso-baritono, si mostra non solo come personificazione del destino di Aschenbach ma anche subdolo tentatore. Il tenore, ruolo scritto per un Pears non più giovanissimo, ha una linea sicura, chiara e ben calibrata per la lunghissima parte da cui esce vittorioso soprattutto per i monologhi - recitativi liberi punteggiati dal pianoforte, a commento di ogni scena e per il momento lirico dell'aria finale di Fedro.
Come sempre, la Dynamic fornisce il dvd di presentazione e di sottotitoli in italiano.
5/5

venerdì 18 maggio 2018

Otello - Kaufmann, Agresta, Vratogna; Pappano 2017 - Sony

L'attesissimo debutto di Jonas Kaufmann nel temibile ruolo di Otello potrà diventare un punto di riferimento nell'intepretazione grazie anche a questo dvd in cui la Sony ha ripreso non solo l'esordio in un nuovo titolo del tenore più in voga al momento ma anche un bello e intelligente spettacolo per la regia di Keith Warner.
Esso si inserisce tra le rappresentazioni che, anziché riprodurre le amenità di Cipro (mi viene in mente la classica messa in scena di Karajan con Vickers e Freni), sottolineano l'oscurità del dramma: quella vissuta interiormente dal protagonista e che poi si riversa attorno a lui in un clima quasi sempre cupo (eccezion fatta per il quarto atto in cui predomina il bianco della camera da letto; bianco che poi è anche il colore degli abiti di Desdemona, unica a mantenere la luminosità). La scena è sostanzialmente unica e si articola attraverso uno scivolare di pannelli, porte e fessure come anche di personaggi che emergono in alcuni punti cruciali. Molto acuta anche l'idea di rendere il personaggio di Jago che talvolta aiuta e sollecita il cambio della scena (ad esempio tra il primo ed il secondo atto) dimostrando così di essere il vero tessitore di tutta la vicenda.
Kaufmann, su cui ovviamente si incentra buona parte dell'attenzione, si rivela ancora una volta un grande attore che dosa sapientemente le energie nel continuo alternarsi di sentimenti vigorosi ed esaltanti, di fremiti titubanti e disperati. La Agresta esce vittoriosa in un ruolo che, se non cantato e recitato bene, rischia di cadere nella noia. Vratogna è istrionico e abitato da una verve che lo rende veramente demoniaco nel suo voler tirar le fila della storia.
Sul piano canoro tutti (anche le parti minori) sono su di un livello molto alto. Kaufmann entra in scena con una sicurezza magistrale e non smette di mantenere solida la linea vocale anche nelle scene successive (forse, unico momento debole è il dialogo prima del soffocamento di Desdemona). Molto affiatato il duetto alla fine del secondo atto; lancinante la sofferenza nell'aria del terzo. Maria Agresta ha la voce adatta per cantare Desdemona e lo fa con voce sicura e sostenuta nel fiato ma anche con dolcezza e malinconia. Per il ruolo di Jago avrei inizialmente pensato ad una voce lievemente più scura e pesante, ma Vratogna lo rappresenta comunque in modo eccellente e personale curando sia la la linea più vivace nelle scene d'insieme sia i tratti più lirici che quelli crudi nel suo credo.
Il coro si apprezza per l'omogeneità e la dizione. La direzione di Pappano è estremamente curata in ogni parte e realizza quella continuità nelle scene e nelle sonorità (che passano dall'una all'altra) che caratterizza tutta l'opera.
5/5

lunedì 26 febbraio 2018

Nabucco - Nucci, Guleghina, Prestia; Luisi 2001 - Arthaus Musik

Lo spettacolo di Kramer, in una scenografia essenziale e costumi moderni, è incisivo e suggestivo a partire dalla sinfonia in cui vengono presentati quattro bambini in atto di giocare e litigare, simbolo di inimicizie ataviche, fino all’apparire del testo sacro ebraico sullo sfondo nel coro iniziale e al suo sgretolarsi al momento della proclamazione divina di Nabucco, dai segni del potere che fanno gola e che sono racchiusi in un’urna, al coro che, cantando il brano più famoso dell’opera, si erge a poco a poco mostrando ciascuno una foto di un deportato. E questi sono solo alcuni esempi. La direzione di Luisi è sempre decisa e ricca di colori e mai prevarica sui cantanti. Non sono esenti alcuni "zumpapa", in ispecie all’ingresso di Nabucco o in alcuni toni battaglieri e accenti marziali, ma alcune pagine, come la scena di Abigaille, il suono è estremamente struggente. Il coro, che buona parte svolge in ogni atto, è sicuro anche nella pronuncia; soprattutto il «Va’ pensiero» è privo di eccessi di cattivo gusto ma è implorante, disteso e composto. Nucci ha in Nabucco uno dei suoi personaggi più intensi. Linea sicura, irruente e perentoria in ogni scena, brilla in particolar modo per gli accenti e il fraseggio nel duetto con Abigaille. La recitazione, poi, è di presa immediata: senza neanche essere arricchito da costumi particolari e trucchi vari, la sua faccia esprime ogni sentimento del personaggio: dall’ira allo sbigottimento al termine del secondo atto, dalla supplica al rischiararsi della mente nel quarto. La Guleghina presenta una delle sue migliori Abigaille. Già dall’entrata in cui si mette alla prova tutto il registro grave, per passare poi alla fluida perorazione d’amore la sua voce sicura e la presenza scenica marcano chiaramente il personaggio. Momento memorabile è la prima scena del secondo atto: l’alternarsi del tono tra sdegno e lamento, la linea sostenuta, le variazioni nella ripresa della cabaletta, l’accento caratteristico su «l’umil schiava» sono di indubbia maestria. Solo da notare alcuni acuti finali un po’ schiacciati (a tal proposito, in questa edizione giustamente non inserisce l’estraneo mi bemolle alla fine del duetto con Nabucco). Nella scena finale corale, in cui emerge un tono più lirico, altrettanto bene la resa vocale. Prestia ha una tessitura adatta per il ruolo di Zaccaria, come anche un tono solenne e ieratico necessario per questo personaggio drammatico che, in questa rappresentazione, smorza solo lievemente il suo carattere prendendo in braccio alcuni bambini nella danza del primo atto. Rimane però qualche oscillazione nella voce, soprattutto nell’'aria di sortita. Dvorsky e la Domashenko se la cavano nei personaggi minori. Il primo ha voce calda ma segnata da evidenti sforzi. La seconda è elegante e di importante presenza soprattutto nel terzetto e nel concertato.

5/5.

Otello - Domingo, Frittoli, Nucci; Muti 2001 - Arthaus Musik

Lo spettacolo, tradizionale e godibile, è valorizzato da scenografie e costumi raffinati ed eleganti che esaltano i colori abbinati ai vari personaggi. Un appunto sulla brandina da cella anziché su un letto che sarebbe stato più adeguato al resto della scena. Anche se non c’ molto movimento - anzi, talvolta i protagonisti rimangono piuttosto fissi - i cantanti recitano tutti ad alto livello. Sulle voci spicca quella di Domingo che è l’Otello per antonomasia. Purtroppo gli anni passano e la voce, soprattutto all’acuto, non risponde più come vorrebbe e dovrebbe (es. l’«Esultate» non è certo dei più gloriosi da lui cantati). Resta però solido ed espressivo il registro centrale e grave. La carica emotiva è ineccepibile in ogni scena. La Frittoli convince nel ruolo di Desdemona anche se talvolta appare affaticata. Grande anche la sua interpretazione soprattutto nel duetto del terzo atto oltre che nel quarto. Nucci conferma il suo stile: brillante nella scena del primo atto; ricco di insidie nei duetti con Otello; determinato nel Credo. Il suo Jago è ovviamente cattivo ma, per esaltare le occhiate e gli ammiccamenti nel tendere l’insidia al suo duce, non emerge pienamente la perfidia del personaggio. Buoni gli altri personaggi, avvantaggiati anche dal fatto di essere italiani. La direzione di Muti è sempre tesa e serrata, l’orchestra è presente e si fa sentire (forse qualche volta fin troppo?), stacca tempi spesso un po’ veloci ma questo consente all’azione di non attardarsi inutilmente. Il coro allieta il secondo atto con la piacevole scena dei doni a Desdemona, qui nella sua forma integra grazie alla bacchetta di Muti.

4/5

Lohengrin - Treleaven, Magee; Weigle 2006 – EuroArts

Lo spettacolo, che ha riscosso molti applausi da come si evince dalla videoregistrazione, sembra dimenticare l’aspetto soprannaturale, religioso, esoterico (e quant’altro si voglia dire per connotarlo) dell’originale wagneriano. Un Lohengrin tutto umano, si potrebbe dire, che forse snatura l’opera stessa. La regia ambienta la storia in una scuola (di altri tempi, con banchi di legno) in cui l’araldo del re è il bidello, il re è il maestro (con tanto di bacchetta), i conti e nobili sono una scalmanata scolaresca che volteggia spade di legno ma anche molti aeroplanini di carta, Friedrich e Ortrud sono gli alunni col voto più basso in condotta che accusano una timida Elsa che fa fatica a presentarsi davanti a tutti e preferisce rimanere rinchiusa in un armadio. Lohengrin entra dal basso accompagnato da un bimbo (già si svela un po’ di finale) che muove le braccia in atteggiamento di volatile. Detto così potrebbe sembrare la peggior cosa, ed effettivamente lascia perplessi. Senza entrare nel merito del rispetto del testo (visto che molte sono le regie moderne di opere passate che le tramutano non poco), bisogna dire che lo spettacolo considerato in se stesso, è studiato nei minimi particolari (dai trucioli di matita che Ortrud fa cadere sulla testa del marito ai punti interrogativi che Elsa dissemina nei banchi) e le azioni dei personaggi sono tutte coerenti tra di loro (complici anche un coro che canta e recita molto bene). Il cast si presta bene a questa messa in scena e tutti recitano ad un buon livello. Sul piano canoro, Treleaven, pur con una voce che non è bellissima, è un interprete wagneriano di riferimento ma qui sembra talvolta un po’ in difficoltà; la Magee esce con successo nel ruolo di Elsa sottolineandone tutte le sfaccettature (la linea vocale è solida, il fraseggio c’è, l’interpretazione convince); la DeVol che fa la bimba cattiva è eccezionale e nel secondo atto non c’è frase che non sia comunicativa, purtroppo la voce è insopportabile tra le urla e il fastidioso vibrato (per fortuna nel primo e nel terzo atto Ortrud non canta quasi mai); gli altri cantano bene ma non si può dire che si distinguano particolarmente. La direzione di Weigle è interessante, non noiosa ma molto narrativa (avrebbe però potuto far evitare al coro di inserirsi con alcune grida da stadio e non effettuare il classico taglio nell'ultima scena del terzo atto). Purtroppo la Euroarts non ha inserito i sottotitoli in italiano.

4/5

Lohengrin - Hofmann, Armstrong; Nelsson 1982 – EuroArts

Questa edizione del Lohengrin è forse la più datata di quelle disponibili in dvd. Lo spettacolo, classico e rispettoso delle didascalie wagneriane, proviene dal Festival di Bayreuth ma - come spesso avviene in questi casi - è videoregistrato a teatro vuoto. Penso che sia un vantaggio per gli artisti avere la presenza del pubblico che instaura una sintonia con loro e che può infondergli anche una maggiore ispirazione. Comunque è una produzione molto bella di cui possiamo godere attraverso riprese televisive eccellenti. Anche se nel complesso la scena è quasi sempre immersa nell’oscurità, c’è un interessante uso delle luci che sottolinea il carattere dei personaggi (come anche è da notare il cambio di costume del protagonista per l’ultima scena: dalla corazza e stivali argentei a quelli neri). La direzione di Nelsson è corretta e rimarca molto gli aspetti più sonori e incalzanti della partitura. Hofmann canta bene, la voce è anche gradevole ma non sembra lasciare una forte impronta; la posa è molto statuaria (come si confà alla figura di cavaliere quasi sacro) ma nel duetto del terzo atto si scioglie un po’. La Armstrong ha una presenza scenica formidabile tanto da far dimenticare che la voce non sia poi molto ricca di sonorità. La Connell canta e interpreta molto bene il difficile ruolo di Ortrud; grintosa, pur con qualche suono fisso, rende il duetto con Elsa tra le parti più belle dell’opera da vedere e da sentire, come anche il suo «Entweihte Gotter». Roar comunica bene l’arroganza di Friedrich attraverso la sua voce squillante; d’altro canto si rivela talvolta un po’ roboante e sguaiato in alcuni suoni. L'araldo del re è Weikl: molto bravo, di voce chiara e decida. Purtroppo la EuroArts non ci concede i sottotitoli in italiano.

4/5

Lohengrin - Beczala, Netrebko; Thielemann 2016 - Deutsche Grammophon

Magnifica la direzione di Thielemann che esalta la sonorità romantica della partitura e l’articolazione in contrasti di luce e ombre. Lo spettacolo è classico, fa rivivere l’aspetto storico del dramma ed è arricchito da costumi sontuosi. Beczala ha una voce sicura, un timbro nobile e un nitore degno di un cavaliere del Gral. La Netrebko è una grandiosa fuoriclasse: la linea vocale impeccabile (che ogni tanto ama sfoggiare) e l’interpretazione adatta ai sentimenti del personaggio (anche se potrebbe apparire un po’ troppo matura rispetto alla piccola Elsa). Konieczny è un basso-baritono dalla voce direi gutturale o ingolata; eppure porta in scena un Friedrich veramente interessante e convincente negli interventi di forza come nelle mezzi voci. Sempre difficile è trovare una brava Ortrud: la Herlitzius avrebbe le carte per questo ruolo ma sembra che il suo registro acuto sia increspato (forse a causa delle tante Brunnhilde) così da non farle evitare alcune urla lacerate e laceranti. Buone le altre voci, in particolare lo squillante araldo de re. Tra i brani memorabili di questa edizione, il concertato del secondo atto e, ovviamente, il duetto d’amore nel terzo atto.

5/5

Lohengrin - Vogt, Kringelborn; Nagano 2006 - Opus Arte

Lo spettacolo, ambientato su ampie gradinate attorno ad una pedana circolare, è abbastanza essenziale (hanno fatto a meno anche del cigno) ma suggestivo. La direzione di Nagano è incisiva e appassionata ma bisogna lamentare alcuni tagli effettuati (tra cui parte della scena finale). Il cast è decisamente sopra la media: Vogt ha un timbro argenteo e una sonorità molto calda, secondo me adatta al ruolo del titolo; la Kringelborn si rivela una voce buona per cantare Elsa ma soprattutto per interpretarla nell’alternarsi di candore infantile, stupore e innamoramento, talvolta sguardi di sfida nei confronti degli accusatori; la Meier spicca fra tutti perché è sempre eccellente sia nella solidità del canto che nella capacità di comunicare il personaggio (purtroppo su di lei si sono abbattute le peggiori scelte dei costumi); Fox e Konig rivestono bene gli altri due ruoli maschili. Ringraziamo la Opus Arte che ha inserito anche i sottotitoli in italiano.

4/5