sabato 23 maggio 2009

histoire du soldat

Histoire du soldat rappresenta un tipico esemplare di composizione musicale difficilmente classificabile in un genere specifico, perché è contemporaneamente azione letta, mimata, danzata e suonata.
Composta nel 1918, fu pubblicata nel 1920; il soggetto cui si ispira fu tratto dal mondo delle favole russe, ma in effetti l’argomento e il contenuto riguardavano l’umanità in genere e, in particolare, l’impossibilità dell’uomo di sfuggire al proprio destino.
Stravinskij ne concepì la musica con un spirito più occidentale che russo, utilizzando i più svariati materiali, dal ragtime al tango argentino, al valzer viennese e persino a un corale di Bach.
Gli strumenti che compongono la piccola orchestra sono: un clarinetto, un fagotto, una cornetta, un trombone, un violino, un contrabbasso e le percussioni.
La stesura originale prevedeva la suddivisione del lavoro in due parti, di cui la prima era articolata in tre scene più un’introduzione e la seconda in nove scene.
Una piccola orchestra, formata da sette esecutori, doveva eseguire i brani musicali che accompagnavano la lettura del narratore, mentre sul palcoscenico gli avvenimenti narrati venivano illustrati da azioni mimate e danzate.
Prima parte. Introduzione (marcia del soldato). Un soldato in licenza che sta tornando a casa si ferma per riposare e accordare il suo violino.
Prima scena (il violino del soldato). Mentre sta suonando presso un ruscello entra in scena il diavolo, travestito da vecchietto, che, non visto, si avvicina furtivamente e gli poggia una mano sulla spalla.
Seconda scena (presso il ruscello). Il diavolo chiede al soldato di cedergli il violino in cambio di un libro che gli assicurerà ricchezza e potere, e lo invita a restare con lui tre giorni. I tre giorni, però, diventano tre anni e quando il soldato giunge finalmente a casa nessuno lo riconosce più, nemmeno la madre, mentre la fidanzata è già sposa di un altro. Solo adesso egli comprende il valore del libro: può dargli oro e potere ma non l’amore. Allora si ribella violentemente al diavolo e quest’ultimo riappare sotto le sembianze di una vecchietta che gli riporta il violino. Il soldato riprende il violino e tenta di suonarlo, ma dal violino non escono più suoni.
Terza scena (pastorale). Adirato, il soldato getta con violenza il violino e strappa il libro. L’incanto è spezzato e si ritrova nuovamente povero come prima. Non sapendo cosa fare, decide di avviarsi verso il palazzo del re, il quale ha promesso che chiunque riuscirà a far guarire la figlia malata, la potrà sposare.
Seconda parte. Prima e seconda scena (marcia del soldato; marcia reale). Mentre il soldato è in marcia verso il castello incontra di nuovo il diavolo sotto le spoglie di un damerino, con in mano il violino che era appartenuto al soldato. Dopo averlo sfidato a carte, il soldato fa ubriacare il diavolo e si riprende il violino.
Terza scena (piccolo concerto). Il soldato suona vittorioso sopra il corpo del nemico sconfitto e guarda con ottimismo al suo futuro: con la musica riuscirà a guarire la principessa e a ottenerne la mano.
Quarta scena (tre danze: tango, valzer, ragtime). Nella stanza ove la principessa giace malata, il soldato suona appassionatamente: la fanciulla si alza dal letto e inizia a ballare, ma il diavolo è entrato nella camera e tenta ancora di riprendersi il violino.
Quinta scena (danza del diavolo). Il soldato continua a suonare vorticosamente per costringerlo a ballare. Il ritmo irresistibile della musica non dà tregua al diavolo che balla fino a cadere esausto a terra.
Sesta e settima scena (piccolo corale; canzone del diavolo). Sebbene la vita del soldato sia ormai felice nella reggia, egli decide di recarsi a trovare la madre e chiede alla principessa di accompagnarlo, ma lungo la strada lo attende nuovamente il diavolo che, suonando il violino, lo invita a seguirlo.
Ottava scena (grande corale). La principessa, spaventata, abbraccia il soldato che sembra stordito e dice di non ricordare più quale sia la strada per giungere a casa.
Nona scena (marcia trionfale del diavolo). Il diavolo continua a suonare e la musica attrae irresistibilmente l’infelice soldato che non può più sottrarsi al suo destino. Invano la principessa tenta di trattenerlo: il diavolo trionfante lo trascina via.

«Una delle caratteristiche di quest’opera è la scelta e l’uso singolare degli strumenti. A cominciare dal violino, che è il protagonista musicale della storia». Solitamente «dolce, sentimentale e romantico», «quando esso diventa un oggetto diabolico e agognato dal demonio», acquista tutto un altro carattere. Il violino dell’Histoire du soldat «è la voce di un personaggio tradito. Ed è la voce del linguaggio scelto da Stravinskij per denunciare l’ingiustizia: il linguaggio del sarcasmo. Il sarcasmo di Stravinskij si esercita attraverso un procedimento fondamentale, che potremmo chiamare “deformazione”; in più aspetti: a) la stessa scelta dell’organico strumentale, così inconsueto rispetto agli usi tradizionali; b) la scelta di temi popolareschi, spesso volutamente volgari, come la Marcia reale, ma spezzati e deformati da suoni estranei; c) la continua rottura della quadratura ritmica, ossia la frequente variabilità delle misure (2/4 – 3/4 – 3/8 – 5/8, ecc.) che si sente soprattutto nelle marce e nelle danze, dove l’accentuazione regolare dura poche battute, poi sgarra e imbroglia i passi; d) la mescolanza di linee e di armonie che ingrangono volutamente le regole classiche e costruiscono un’immagine di dilettantesca confusione: a volte è come se ogni strumento andasse per la sua strada» (Delfrati).

venerdì 15 maggio 2009

der fliegende Hollander

Proprio da pochi minuti ho terminato di ascoltare quest'opera (data in prima rappresentazione a Dresda il 2 gennaio 1843) in un'edizione del 2004 trasmessa da otto's opera house (Stensvold, Weber, Selig, Durmuller; Weil).
Mi piace riportare in citazione e in sintesi il commento e la recensione che ne ha fatto Giudici.
Voci né belle né doviziose ... ma sorrette da quel robusto professionalismo che è di casa in Germania e sarebbe tanto bello lo fosse anche da noi, dove il nome spesso sovrasta sulla sostanza. La direzione rivela dinamica e sfumatissima, colori ricchi di contrasti, condotta ritmica quanto più sfrangiata possibile, cura estrema a che l'orchestra canti sempre, sostenendo assai bene le voci - meno soggette a forzare, in contesto siffatto - ma soprattuto integrandosi a esse sul piano espressivo.
Giudizi condivisibili e no però per me che non sono un autentico esperto wagneriano, è interessante scoprire che c'è stata la consuetudine di rappresentare l'opera nella struttura originaria di atto unico (che riflette quella d'una ballata tripartita) con finale privo di trasfigurazione redentrice.
L'edizione in questione è invece eseguita su strumenti originali: l'impiego di corni naturali, la convivenza di trombe con e senza pistoni, l'uso dell'oficleide in luogo della molto più sonora tuba, un drastico ridimensionamento del vibrato ... com'era d'altronde ancora in uso all'epoca di Weber.
Ed effettivamente i colori sono più aspri e ruvidi, più barbarici, ma anche più leggeri e vibratili, creando un'atmosfera decisamente insolita e lasciando un buon gusto nell'orecchio prima di andare a letto.

giovedì 14 maggio 2009

danza (2)

I materiali ritmico-melodici di Papillons op. 2, raccolta di brani composti tra il 1829 e il 1831, provengono in buona parte da Valzer (nn. 2, 3, 7, 8, 9, 10) e da Polacche (nn. 5, 11) rimaste inedite e che discendono per ispirazione dallo stile di Schubert.
La rivisitazione del mondo schubertiano non è però la sola chiave di lettura. Schumann non cercava di aderire completamente alle sorgenti musicali: erano le fonti letterarie per lui ancora più determinanti nella scelta del linguaggio.
Papillons costituisce appunto un’intrusione nel mondo della musica colta di un’ispirazione chiaramente letteraria. Si tratta della pagine conclusive di “L’età ingrata” di Jean Paul Richter. Tre sono i personaggi che figurano nell’epilogo del romanzo: Walt, Vult e Wina. L’avvenimento descritto è un ballo mascherato durante il quale, per accrescere la confusione, Walt e Vult si scambiano il travestimento.
La suite di 12 pezzi preceduti da un’introduzione rappresenta una descrizione del clima cangiante della festa, con le sue musiche e danze frizzanti e il gioco della seduzione.
All’introduzione segue un brano che con il suo tema vuole rappresentare Vult stesso. Walt, impaziente di riabbracciare Wina, lascia la sua stanzetta e scende nel salone dove ha luogo la festa mascherata. Il secondo brano lo descrive mentre attraversa la folla in festa, con un trafelato prestissimo. A questo punto si tratta di descrivere la cornice ambientale della festa e Schumann vi provvede con il turbinante valzer che costituisce il quarto brano. Sul ritmo ondeggiante della danza, appare una suorina, «un’umile monaca con una mezza maschera e un profumato mazzo di primule». Nel quinto brano appare finalmente la protagonista del romanzo, Wina che, essendo polacca, viene descritta con un ritmo di Polonaise. Nel sesto brano ritroviamo il tempo di valzer. La forma è quella del rondò con il tema in re minore (il secondo è il la maggiore, il terzo in fa maggiore). Nel settimo brano, un minuscolo valzer che modula da fa minore verso la bemolle maggiore, è descritta la confessione della propria condizione di innamorato fatta da Vult all’amico. Lo stato d’animo suggerito è quello di «uno strano fervore, com’è quello arido del deserto o quello della febbre». Ma il cuore della frivola Wina è ormai di Walt, che la seduce solleticandole la schiena con un’ala di farfalla: un doppio valzer (primo tema in do diesis minore, secondo in re bemolle maggiore) dal ritmo scandito dipinge la scena. Il nono brano è un Prestissimo, intitolato Rivelazioni. Segue lo scambio delle maschere: valzer con doppia introduzione, sinuoso e amoroso, il cui corso viene bruscamente interrotto da una fanfara su un tema di un valzer precedente (n.8); il valzer riprende dopo l’interruzione e svanisce. L’undicesimo e penultimo brano è il più lungo di tutti. Si tratta ancora di un ritmo di polacca, con una breve introduzione e un episodio centrale più tranquillo. Il Finale, introduce una melodia popolare intitolata “Danza del nonno”. Dopo di che la musica si allontana progressivamente in un millimetrico descrescendo: «Gli schiamazzi della notte di carnevale si spengono – scrive Schumann – e la torre del campanile batte sei rintocchi». Mentre svanisce l’ultimo accordo, risuonano tre note nel registro grave prima che anche l’ultimo nottambulo scompaia nel chiarore del mattino.

venerdì 8 maggio 2009

danza (1)

La danza ha sempre avuto un posto di rilievo nelle corti dell’epoca barocca perché contribuiva alla ricchezza dei cerimoniali, delle feste, degli spettacoli teatrali.
La musica composta per la danza aveva inoltre aspetti di semplicità e regolarità per favorire la realizzazione dei passi previsti.
Differente dalle danze e balli di società, erano le danze di teatro, cioè i balletti, nati nel XVIII secolo quando di verificò la distinzione tra coreografi, compositori e ballerini da una parte e pubblico che assisteva allo spettacolo dall’altra.
Col tempo la musica per danza venne ripresa per brani di musica strumentale, anche al di fuori della funzione di accompagnamento al ballo così che, ben presto anche i compositori si dedicarono a questo approccio definendo una forma musicale specifica: la suite (successione).
In questo caso la danza non ha più la funzione di invitare a ballare né di fare da supporto alle coreografie dei balletti. Si tratta di musica da ascoltare basata su una successione di forme e differenti ritmi di danze stilizzati.
La successione di danze più usata comprende diverse danze, alcune standard, tra cui le seguenti.
La corrente ebbe origine in Italia. Danza vivace di corteggiamento fu molto in voga anche in Francia, ha un vivace ritmo ternario puntato, più rapido nella pratica francese, più grave in quella italiana. (es. courante de la Reine d'Angleterre 1634-1650).
Il minuetto era una danza popolare originaria della Francia. Lully la trasformò con grande successo, alla corte del Re Sole, in un ballo aggraziato, di corteggiamento, con reverenze, giri, mezzi giri, incroci, sguardi, figure a forma di esse. Successivamente, come brano strumentale, entrò a far parte di composizioni più ampie quali sonate, sinfonie, opere. La sua forma è tripartita: minuetto, trio (di andamento più moderato), minuetto. (es. Handel, da Musica sull’acqua, suite n.3, Minuetto 1715-17). Inizia in tonalità minore ed ha la parte centrale nel contrastante modo maggiore. L’organico orchestrale, oltre ai consueti archi e clavicembalo, ha strumenti dal suono acuto e pungente come il flauto piccolo e il flauto traverso.
La sarabanda, probabilmente originaria dell’oriente, era una danza sfrenata e scandalosa che comparve in Spagna nel rinascimento, ma fu poi vietata. In Francia e in Italia si trasformò invece in una danza seria e cerimoniosa che, mantendendo il ritmo ternario, assume un carattere grave e solenne. (es. Corelli, da Concerto grosso op.6 n.11, Sarabanda 1714)
La giga è probabilmente una danza popolare di origine irlandese giunta poi a corte in Inghilterra. Molto brillante e fantasiosa, si ballava a coppia dopo una marcia iniziale, facendo battere i tacchi. Nella suite, per il suo andamento mosso e brillante, è di solito posta a conclusione dell'intera serie di danze. (es. Corelli, da Concerto grosso op.6 n.11, Giga 1714)
La contraddanza è una danza contadina inglese del XVII sec. (country dance), di andamento cadenzato e allegro che si diffuse presto anche in Francia, Italia e Germania. (es. Rameau, da Les Indes Galantes, Contredanse 1735) Vivacissima danza, di netto accento ritmico e di spiccata chiarezza, strutturata secondo lo schema del rondeau, sviluppa dialoghi di grande efficacia timbrica grazie alla presenza dei flautini e degli archi.
Il tambourin, danza in misura binaria con basso che si ripete sempre uguale, fa derivare il nome da uno strumento omonimo: un piccolo tamburo a cassa allungata. (es. Rameau, da Les Indes Galantes, Tambourin I-II 1735) Due brevi tambourin che formano un dittico di irresistibile carica ritmica. La struttura del brano è tripartita e la linea melodica è nervosa e ondulante.

martedì 5 maggio 2009

la gioconda, atto primo

Il primo atto è ambientato nel cortile di palazzo Ducale parato a festa in una Venezia del XVII secolo. La prima scena è imgombra di popolo festante in attesa della regata. Mentre il coro di marinari e il popolo inneggiano, Barnaba (baritono), presso una colonna, osserva e ode i festeggiamenti. Quando poi, nella seconda scena, la popolazione esce di scena, rimasto solo, Baranaba si rivela come la spia del Consiglio dei Dieci ("con lavorio sottile e di mano e d'orecchio colgo i tafani al volo per conto dello Stato"). Nella terza scena entrano Gioconda (soprano) e la madre (contralto). Si parlano con affetto reciproco mentre Barnaba le guarda segretamente desiderando Gioconda ("Sovr'essa stendere la man grifagna! Amarla e coglierla nella mia ragna! Terribil estasi dell'alma mia! Sta in guardia! L'agile farfalla spia!"). Quando Gioconda fa' sedere la madre e si avvia in cerca dell'amato Enzo ("Io vado a ritracciar l'angelo mio"), Barnaba viene preso da un momento di rabbia ("Derision!") e sbarra la strada a Gioconda. Questa, nel respingere la sua offerta d'amore, passa diversi stati d'animo: dal sospetto ("funesta m'è la tua faccia da mistero"), al disprezzo, al ribrezzo, alla paura. Dopo essere fuggita con un grido, la madre si alza smarrita e cerca la figlia. Barnaba la osserva silenzioso immaginando che "quella larva che la man protende" potrebbe essergli di aiuto per tenere "il cor della figlia incatenato". La quarta scena, con il suo gran numero di personaggi e il suo ritmo movimento, ci fa entrare all'interno del malefico progetto di Barnaba: mentre il coro del popolo rientra portando in trionfo il vincitore della regata e beffeggiando lo sconfitto Zuane, la spia capisce che anch'egli può essergli utile nel suo piano. "La vera cagion" della sconfitta di Zuane, così fa credere Barnaba, non è "la prora ... greve ed arrembata" ma una maledizione: "una malia bieca sta sul tuo capo". E mentre il popolo si diletta ancora nei festaggiamenti e nei giochi, Barnaba dirige la rabbia di Zuane sulla cieca che avrebbe scagliato sulla sua barca "un segno maliardo, un magico segno ... parole tremende, lugubri anatemi". Tra lo stupore e l'esclamazione, tutti decidono di scagliarsi contro la povera donna che sta pregando le litanie alla Vergine credendo, invece, che stesse brontolando parole di iettatura: "Addosso! Accoppiamola!". Nel clamore generale, Barnaba si rallegra tra sè per aver creato quella situazione, "scagliato ho il mio ciottolo", e si premura di non subirne danni, "or fuggo la frana", convinto di poter raggiungere il suo scopo, "Ho in man la mia vittima, ho in man due destini". Al grido di tutti "a morte la strega", rientra Gioconda con Enzo che cerca inutilmente di sottrarre la cieca alla furia popolare: "Assassini! Assassini! Quel crin venerando rispettate!". All'inizio della scena quinta entra Alvise (basso), attratto dal tumulto, accusando la plebe di arrogarsi "fra le ducali mure i diritti dela toga e della scure", insieme con la moglie Laura (mezzosoprano) che intercede per la madre di Gioconda: "è cieca! o mio signor! fa ch'essa viva! ... Essa ha un rosario! No, l'inferno non è con quella pia". Nonostante Barnaba insista con Alvise che la cieca è rea di maleficio, Gioconda si getta ai suoi piedi parlando della povertà sua e della madre e Laura riesce a convincere il marito a salvare la donna che, pur non vedendo "di quella santa il volto", in segno di ringraziamento, le dona il suo rosario. Nel frattempo, Enzo e Laura si sono scambiati numerosi sguardi e, dopo che ella ha rivelato il suo nome a Gioconda, Enzo la riconosce e trasale. Quando tutti lasciano la scena per recarsi nella basilica di san Marco, Barnaba, (siamo ormai nella scena sesta) avendo compreso che Enzo non è un marinaio ma un principe genovese proscritto e che ama ancora Laura pur sposata contro la sua volontà con Alvise, approfitta ancora della situazione e lo provoca: "La cantatrice errante ami come sorella, e Laura come amante". Smascherato, Enzo accetta la proposta di Barnaba di incontrasi su un vascello con l'amata e di fuggire: "Badoer questa notte veglia al dogale ostello con Gran Consiglio. Laura sarà al tuo vascello". Ma quando Enzo chiede chi sia il "lugubre benefattor", Barnaba rivela la sua identità e il desiderio di far schiantare il cuore di Gioconda che non corrisponde al suo amore. Per questo Enzo lo maledice e si allontana in attesa di incontrare Laura. Nella scena settima, Barnaba chiama Isepo (tenore) e, senza accorgersi della presenza di Gioconda, gli detta la denuncia da portare al capo dell'Inquisizione: "La tua sposa con Enzo il marinar ... stanotte in mar ti fuggirà sul brigantimo dalmato". L'ultima scena, l'ottava, vede entrare nel cortile un gruppo mascherato che danza una furlana mentre da san Marco giunge il canto di una preghiera. L'atto si chiude con l'angoscia e il tormento di Gioconda, al corrente delle macchinazioni di Barnaba, e con il tentativo di conforto della madre: "vieni e facciamo un sol di due dolor!".

venerdì 1 maggio 2009

la gioconda, danza delle ore

La Danza delle ore è un balletto-intermezzo inserito da Ponchielli nel III atto per creare un intervallo che spezzasse il lungo e complicato intrigo del dramma.
Quattro gruppi di sei ballerine in spumeggianti e vaporosi veli dai tenui colori, cangianti a seconda della luce, simboleggiano le ore del giorno e della notte.
L'introduzione musicale descrive il primo chiarore dell'alba; violini, flauti e arpa accompagnano l'entrata delle ballerine, che scivolano leggere sulla scena.
La luce del giorno diventa sempre più vivida e il clarinetto, unito agli archi, ai campanelli e al triangolo, dà l'avvio ad un grandioso crescendo che culmina con il fragore degli ottoni. E' ormai giorno pieno e le ballerine danzano in costumi luminosi. I violini, sostenuti dagli altri archi e dalle note pizzicate dell'arpa, presentano una famossisima melodia (ricordiamo il film Fantasia!) in cui si alternano anche i legni, i campanelli e il leggero tintinnio del triangolo.
Ora il giorno si avvia al declino, e i violoncelli guidano l'entrata del crepuscolo e della sera.
Dopo un breve dialogo fra arpa e violini, si sentono sei rintocchi dell'orologio: sono le sei del pomeriggio. La musica acquista un carattere più malinconico e il languido canto dei violoncelli è interrotto da brevi e violenti squarci affidati agli ottoni e alle percussioni. La scena è avvolta dalla penombra; solo il triangolo e i campanelli evocano gli ultimi frammenti di luce, i violoncelli e i violini riprendono il canto sommesso che nella quiete notturna diventa quasi un sussurro.
Ma le ore del giorno, messe in disparte da quelle della notte, fremono per poter riavere il predomino; i timpani rullano, gli ottoni sostengono un nuovo crescendo al termine del quale ritorna la quiete e l'orologio batte mezzanotte.
I violini continuano il loro canto quanto, all'improvviso, le trombe annunciano il ritorno irruente delle ore del giorno. Al ritmo del galop, che scatena tutta l'orchestra, le ore gareggiano le une con le altre. Alle fine le ore della luce cacciano indietro la notte e la nuova alba inonda la scena di nuovi colori.