giovedì 18 giugno 2009

musica come linguaggio

Oltre la classica definizione di "arte dei suoni", la Musica (che però, ovviamente, come ogni complessa attività umana, non accetta di essere ingabbiata in qualche definizione) è ormai riconosciuta come un "linguaggio": il "linguaggio della musica", appunto.
In questo senso, accostando "musica" e "linguaggio", si può dedurre che la prima è uno dei tanti insieme di codici umani che trasmettono, conservano ed elaborano informazioni. E se l'accostamento perdura, dobbiamo cercare di individuarne tutte le somiglianze e le differenze. Ogni linguaggio è composto di elementi che hanno un determinato significato in quanto coordinati fra di loro attraverso unità che vanno dalla più piccola alla più grande; inoltre il significato di un linguaggio è determinato anche dalla connessione dei suoi elementi con altri elementi extra-linguistici (il soggetto che utilizza quel codice, la situazione, l'ambiente...). Per questo le varie forme linguistiche non hanno un significato determinato se non in quanto costituiscono delle totalità strutturate (diciamo, ad esempio, che diventa più complesso comprendere un discorso di cui non si è sentito l'inizio o, per rimanere in tema musicale, che un brano andrebbe ascoltato integralmente per essere capito).
Anche la musica, credo proprio, è una sorta di linguaggio che possiede tutti suoi elementi e tutte le sue possibilità di combinarli per giungere alla comunicazione tra chi la produce e chi la fruisce. Ma già qui mi viene da fare un paragone con altri linguaggi "artistici": in quello musicale ha una grande rilevanza un altro personaggio che fa da tramite tra il mittente ed il destinatario. Si tratta dell'interprete (chiamiamolo come si vuole) che agisce sulla materialità del suono - che, come la materialità di altre arti, è elemento imprescindibile - per divenirne veicolo. Beh, certamente si potrebbe già obiettare che il nudo testo di un qualsiasi brano è sufficiente per giungere al destinatario, ma mi sento di concordare con un esempio di Piero Rattalino relativo all'Arte della Fuga di Bach: "Il nudo testo di Bach è più che sufficiente per chi, conoscendo la musica, è anche il fortunato possessore del cosiddetto orecchio assoluto. Per chi conosce la musica senza avere l'orecchio assoluto ci vuole il clavicembalo. Chi nè conosce la musica nè ha l'orecchio assoluto, avrà bisogno per lo meno del pianoforte, ma si troverà molto più a suo agio con il quartetto d'archi e ancora di più con l'orchestra".
Per tentare un'analisi estremamente sommaria di questo "linguaggio della musica", si potrebbe partire (come succede anche in altri linguaggi) dalle "forme" utilizzate. D'altra parte è vero che la forma è ciò che organizza e, in un certo senso, costituisce e confeziona il messaggio che si vuol diffondere. E qui sorge uno di quello che ritengo tra i più grandi problemi: capire la forma della musica. Non sono un esperto delle altre arti ma credo che si possa più o meno individuare a quale genere appartenga un certo prodotto artistico (difficile è confondere un acquerello con un olio, ancor più difficile scambiare una scultura per una tela). Il caso forse più facile è quello della letteratura perchè anche a scuola si studiano le forme e i generi utilizzati dai vari autori: un romanzo non è un sonetto; altro è l'endecasillabo altro è il verso sciolto (e le cose cambiano già a livello sonoro e, ovviamente, anche a livello contenutistico perchè la scelta da parte dell'autore non è certamente affidata al caso).
Sarà possibile capire quali forme utilizza l'arte sonora? Certo, esistono e si studiano (non a scuola, però!) ma non basta un colpo d'occhio nè sfogliare qualche pagina per averne subito un'idea. Ci vuole del tempo. Credo che la musica sia un'arte che richieda un tempo da lei dettato (assimiliabile in questo al teatro e al cinema). Riporto un passo pertinente di Daniel Baremboim: "Ascoltare musica è diverso dal leggere un libro ... Quando ascoltiamo un brano musicale durante un concerto, non possiamo ripetere - rileggere, per così dire - una frase o una sezione che non abbiamo compreso appieno. L'ascoltatore deve modulare la propria concentrazione - se non addirittura la propria coscienza - per ricevere il materiale musicale che viene eseguito".
Con i supporti attuali è però possibile ascoltare e ri-ascoltare quando si vuole, andare avanti se un passo non ci piace o tornare indietro se ci ha interessati. Però questo non è lo standard perchè penso proprio che la musica sia un'arte che abbia la caratteristica di essere non solo "pubblica" ma anche "comunitaria" (anche un dipinto in una cappella è pubblico ma possono esserci anche solo due occhi che lo contemplano). La musica nasce invece sempre in compagnia e quindi, l'idea di fruirne "da soli" quasi la snatura (mi dispiace dirlo perchè anch'io spesso l'ascolto da solo, ma credo che sia così). Ed effettivamente oggi l'ascolto (ma è già una parolona) della musica è ridotto o alle cuffie personali o ad un sottofondo ad altre attività che ovviamente non permette di capire molto neanche di un brano semplice.
Così diventa estremamente difficile fare un discorso sulla forma musicale (e, soprattutto, sul perchè una data forma è stata eletta dall'autore a trasmettere un contenuto).

lunedì 15 giugno 2009

ballata op.47

Si distingue questa terza Ballata dalle altre per il suo carattere sicuramente più luminoso e notevolmente meno tragico.
Il primo tema, nella tonalità di impianto di la bemolle maggiore, dà vita ad una lunga prima sezione conclusa in se stessa e che si estende sino alla battuta 54. Racchiusa da un frammento meolodico ascendente che dà il senso di un'apertura (ma di un'apertura discreta), comprende in sè delicatissimi momenti di curiosità e di incertezza che, ad un certo punto, si divertono saltellando su trilli e brevi volatine.
A questa sezione subentra un secondo periodo (in fa maggiore) che presenta un tema dalle fattezze molto nobili, dolci ed ondeggianti. All'interno di questa parte troviamo già un frammento melodico in fa minore (battuta 82) che avrà importanza nello sviluppo successivo del brano e che altro non è che l'esasperazione drammatica di ciò che era già contenuto nel tema in fa maggiore.
Giungiamo così alla battuta 116 in cui ritorna la tonalità di la bemolle maggiore per una sezione centrale che richiama la prima Ballata per il suo ritmo di valzer.
Alla battuta 144 ricompare per poco il secondo tema (questa volta in re bemolle maggiore) per condurci (alla battura 157) ad un episodio in do diesis minore che si fonda su quel frammento meolodico incontrato precedentemente (alla battuta 82) in fa minore. In esso troviamo, mescolati a nervosismo e continuo dinamismo, echi del primo tema ma sarà l'agitazione e il tumulto progressivi a portare ad una sua vera e propria esaltazione e riproposta in forma grandiosa (battuta 213 nella tonalità di impianto).
Una breve coda, che sfrutta il tema dell'episodio centrale, chiude la Ballata in modo sonoro e brillante.

sabato 6 giugno 2009

danza (3)

Lo Schiaccianoci op.71a (1892) è un’opera ironica, gioiosa, fantastica, fiabesca, di grande immediatezza. I brevi movimenti che la compongono presentano però una certa carenza di contenuti importanti dal punto di vita formale e compositivo: sono infatti costituiti da uno o al massimo due temi che vengono semplicemente alternati o ripetuti tra loro con piccole variazioni. Tutta l’accattivante suggestione che da essi deriva è perciò dovuta all’originalità dell’invenzione melodica e alla raffinatezza dell’orchestrazione.
Nella Danza della fata confetto il tema è affidato al suono argentino della celesta, strumento a tastiera basato sulla percussione di piccole piastre di metallo, capace di creare un’atmosfera incantata e vagamente surreale (è come se volesse catapultarci nel mondo dell’infanzia); strumento che Cajkovskij si fece portare da Parigi segretamente, temendo che altri compositori russi gli rubassero l’idea. Dopo l’esposizione del tema vi è un episodio intermedio concluso da una breve cadenza della celesta, a cui seguono la ripresa del tema e la conclusione.

I modelli di Respighi furono inizialmente classici, ma ben presto egli risentì l’influsso dell’impressionismo francese (Debussy), della scuola russa (Rimski-Korsakov) e del tardo romanticismo tedesco (R. Strauss): da questi musicisti apprese la tecnica della strumentazione e il gusto per il colore orchestrale. Sentì forte il bisogno di un legame costante con la tradizione italiana e con gli elementi musicali della nostra cultura popolare: così calò nella sua sensibilità una tematica tipicamente italiana, a volte popolaresca e specificamente romana, a volte risalente al passato della musica strumentale.
Antiche danze ed arie per liuto sono 3 suite di danze composte rispettivamente nel 1917, nel 1923 e nel 1931. Per un lungo periodo della sua attività creatrice, Respighi è accompagnato quindi da queste suites in cui testimonia il suo amore per l’antica musica italiana e la sua aspirazione a farla rivivere in forma moderna. Non si deve fraintendere il titolo dell’opera: la parola “aria” potrebbe condurre su una falsa via poiché alla base di queste composizioni ci sono dei pezzi per liuto del XVI e XVII secolo. Sono pagine festose in cui è possibile rilevare una notevole unità di stile nonostante siano state composte nell’arco di quindici anni. Il linguaggio orchestrale è abile e brillante e le antiche melodie rivivono con freschezza nella moderna strumentazione.