giovedì 30 aprile 2009

la gioconda

Quasi a fare da legame (credo proprio non voluto) con il Gotterdammerung fiorentino trasmesso da radio3, radio crazy opera ha inserito nel suo palinsesto notturno un'edizione storica de La Gioconda di Ponchielli con la Callas (alle prese con la sua prima incisione di un'opera completa), Poggi, Silveri, Barbieri e la direzione di Votto.
Interessante la coincidenza di queste due opere entrambe rappresentate per la prima volta nel 1876. D'altra parte La Gioconda è considerata da alcuni un'opera popolare romantica costruita sui modelli delle opere romantiche straniere tenendo però presente l'esperienza verdiana (rigettata ma imprescindibile). Dal 1855, infatti, con l'andata in scena alla Scala de Il Profeta (e, fino al 1870, del Faust, de L'Ebrea e de La muta di Portici), il pubblico italiano venne a contatto con il grand-opéra francese. Nel 1871, poi, con la prima bolognese del Lohengrin, e nel 1872 con la prima scaligera de Il franco cacciatore, venne inaugurata in Italia anche la stagione dell'opera romantica tedesca e wagneriana in particolare.
Mettendo insieme l'entrata in scena delle sensibilità francesi e tedesche (non solo in campo operistico ma anche sinfonico) con alcune irrequitezze e insoddisfazioni diffuse nel clima musicale italiano (testimoniate anche dagli ultimi esiti verdiani), non c'è da meravigliarsi che in alcuni musicisti e librettisti fosse vivo il desiderio di un rinnovamento del melodramma.
Proprio a Milano, il centro musicale che più viveva le contraddizioni in ambito operistico, vennero alla luce I Lituani (opera di Ponchielli su libretto di Ghislanzoni commissionata da Giulio Ricordi, che, pur scomparsa dagli attuali cartelloni, fu ben accolta nel 1874). Fu così che a Ponchielli si aprì la strada del successo che lo portò ad impegnari in un nuovo libretto (quello per La Gioconda, appunto) proveniente dall'ambiente della scapigliatura milanese e steso da Arrigo Boito nascosto nello pseudonimo Tobia Gorrio.
A testimonianza della temperie vissuta in quegli anni (incorniciati, ad esempio dalle rappresentazioni di Aida nel 1872 e di Otello nel 1887), parlano da sole le lettere scritte dallo stesso Ponchielli che, da una parte ebbe modo di constatare il crescente favore per le nuove tendenze, dall'altra esprime i suoi forti dubbi sul gradimento della nuova opera da parte del pubblico (sottolineando, in particolari, certi aspetti del libretto in alcuni punti piuttosto truculenti): L'altra sera al Rigoletto un certo tale di difficile contentatura disse che la cavatina del Rigoletto è una boiada e la cabaletta con baritono del primo duetto: cosa che non va più! Ma cosa deve andare adesso? - Leggo e rileggo i due atti di Boito, che trovo bellissimi, ma temo che la musica corrisponda alla difficoltà del libretto, e cioè di riuscita difficile e di genere non facile. Allora io domando a me stesso: E il pubblico? Io credo che per il pubblico italiano occorra di non accarezzare troppo il dramma, altrimenti bisogna cadere nei ritmi che non colpiscono l'orecchio, bisogna adoperare l'orchestra e, in ultimo, richiedonsi artisti che non abbiamo e che forse anche all'epoca di Rossini, di Bellini, ecc., ben pochi ce ne saranno stati. In un melodramma il pubblico vuol sentire la musica, la melodia; invece qui l'elemento principale è il parlato.

sabato 25 aprile 2009

teatro nel teatro: il maestro di cappella

Intermezzo giocoso per basso e orchestra di Domenico Cimarosa (1749-1801).
L'intermezzo è una farsa in musica, spesso in due parti, che si rappresentava nel Settecento fra un atto e l'altro di un'opera seria.
Della composizione di Cimarosa non si conoscono con precisione nè il nome del librettista, nè l'anno in cui venne scritta (forse il 1790).
L'argomento tratta di un maestro di cappella alle prese con la sua orchestra mentre sta preparando due arie di diverso carattere: una più brillante e vivace, l'altra più lenta ed elegante.
Il maestro dialoga con gli strumenti indicando loro le melodie da eseguire, correggendone gli errori e complimentandosi per le frasi ben riuscite.
Cimarosa ne dipinge il carattere con estrema comicità: un maestro un po' vecchiotto, vanitoso e irascibile, che imita i vari strumenti con la voce, inveisce e si dispera contro chi non gli presta attenzione.

Se mi danno il permesso, un'aria canterò; non sono, no, di quelli che si fanno pregare e ripregare.
Sono di quei pochi che della scuola antica ci son restati.
Ah, dove son andati quei celebri maestri che sapevano tanto?
Canterò dunque un'aria giacché tutti a sentirmi pronti qui vedo; ma stiano bene attenti che un'aria canterò di stil sublime, che fece apposta col suo gusto fino il cavalier Scarlatti al Laterino.
Oboe, corni e violette avranno ben a fare.
Violoncello, violini e contrabbaso a suo tempo faran maggior fracasso. Attenti, o miei signori, con arco ben tenuto,voi dovrete eseguir quel che dirò.
Quest'è il passo dei violini: lai, lai, lai, la.
Cosa fate, oboe mio caro? bio, bio, bio, bio. S'incominci ancor il passo!
Maledetto contrabbasso, cosa diavol qui si fa?
Quest'è il passo dei violini: lai, lai, lai, la.
Blaberlebla berlebla berlebla. Oh, vi prego, deh, badate e imparate a ben contar, altrimenti non si va.
Quest'è il passo dei violini: lai, lai, lai, la.
Le violette non ancora!
Zitto il flauto non ancora! Ma che diavol qui si fa?
Maledetto contrabbasso! Cosa diavol qui si fa? Qui si manca d'attenzione, no, cosi, così non va. Vi scongiuro in ginocchione, ah, badate in carità.
Senza scaldarsi il sangue, e per principio, badate a quel che dico: nessun cominci il passo se pria da me nol senta! Pensate ch'io non sono qui per farvi il buffone!
Quest'è il passo dei violini: lai, lai, lai, la. Oh, bravissimi! Va bene.
Quest'è quel delle violette: la, la, la, la. Brave assai, o benedette!
L'oboe così farà: la, la, la, la,bio, bio, bio, bio. Molto bene in verità.
Or i corni vanno assieme: la, la, la, labla berlebla berlebla berlebla. Son contento, vanno bene: or adesso unitamente, via, sentiamo come andrà. Bravi! Bene! Bravi assai! Queste note a punta d'arco, qui staccate, qui legate.
L'oboe solo. Le violette! Flauto solo! Presto i corni! Qui fortissimo! Cosè! Oh, che armonico fracasso! Oh, che orchestra benedetta! Io mi sento consolar. Queste note a punta d'arco! I violini e le violette! Le violette con i corni! I violini, il flauto solo! Oboi, corni con il flauto! I violini! Bravi!Flauto solo! Bene! Le violette! Bravi! Oboe e flauto! Bravi! Presto i corni! Bene! Bravi! Bene! Bravi assai! Oh, che armonico fracasso! Oh, che orchestra benedetta! Io mi sento consolar! Bravi! Bravissimi! Così va bene! Son contento dell'assieme che tiene ciascheduno facendo la sua parte. Perciò, e non vi spiace, bramo provar un pezzo di stil affatto nuovo. Voltate ora le carte e s'incominci un cantabile Allegro; cioè di due colori, come una salsa che ha vieppiù sapori. I piani e i forti vi prego d'osservare.
Il contrabbasso non dia quelle strappate che fan cattivo effetto nell'armonia .
Violette e violoncello s'accordin ben assieme nel passaggio che ho fatto. S'incominci la battuta con forza e calore, s'incominci il gran morceau con strepito e vigore. Ci sposeremo fra suoni e canti, sposi brillanti pieni d'amor.
Voglio i violini.
Voglio il violone.
Voglio il fagotto con l'oboe.
No! No! No! No! Questo strumento non fa per me.
Orsù il flauto colla viola. Tutta l'orchestra s'ha da suonar. No, che di meglio si può trovar. Ci sposeremo fra suoni e canti sposi brillanti pieni d'amor.
Voglio i violini!
Voglio il violone.
Voglio il fagotto coll'oboe.
No, no, no, no, questo strumento non fa per me.
Voglio i violini.
Voglio il violone.
Le violette!
Ed ora il flauto!
Or, il fagotto coll'oboe.
No, no, no, no, questo strumento non fa per me. Tutta l'orchestra s'ha da suonar. No, che di megliosi può trovar. S'ha da suonar, s'ha da suonar, s'ha da suon...

Vi ringrario, miei signori; proveremo ad altro tempo un Andante, Allegro e Presto, che faravvi stupefar. Un Cantabile con moto, un Larghetto, un Andantino, che un talento sopraffino non potrà giammai imitar.

venerdì 24 aprile 2009

polocca op.53

E' sicuramente fra le più belle e famose composizioni pianistiche di Chopin (che voglia di suonarla negli anni di studio!).
Nonostante l'ambiente parigino l'avesse accolto con calore e ammirazione, egli rimase per tutta la vita profondamente legato alla sua terra d'origine: le sedici Polacche ne sono una testimonianza molto eloquente e che occupa un posto rilevante nella produzione del compositore. Vengono spesso lette come affreschi nazionalistici, carichi di accenti epici e battaglieri, in cui riaffiora il ricordo della patria oppressa.
La Polacca op.53, chiamata anche Eroica, fu composta nel 1842 a Parigi.
La Polacca è una danza popolare in ritmo ternario eseguita a coppie, con un andamento moderato e un incedere di tipo quasi processionale tanto che fu poi importata e trasposta dalla nobilità facendola diventare un'austera e solenne danza di corte.
Senza andare troppo lontano, il nome stesso evoca il paese nativo di questo genere musicale in cui era già conosciuto nel 1500; dalla Polonia, poi, si diffuse in tutta Europa diventando una forma della musica cosiddetta "colta".
La struttura della Polacca op.53 possiede una netta articolazione a blocchi separati con una frequente ripetizione dei temi. Ma su questa struttura standard Chopin inserisce una novità: dopo l'esposizione della prima e della seconda idea viene inserito un terzo tema nuovo e di carattere contrastante, quasi per allentare la tensione e meglio preparare il ritorno del tema iniziale (evitando, peraltro, la continuità del tenore epico per non generare monotonia).
La prima parte inizia con un'introduzione di sedici battute che, con l'alternanza continua di due idee opposte (l'una di movimento ascendente, l'altra di stasi basata su arpeggi), crea un'ascesa tonale e un crescendo sonoro che esplode sul tema eroico vero e proprio che si appoggia su un movimento uniforme e scattante di ottave al basso.
Il canto epico della seconda sezione (siamo alla battuta 81) è introdotto da fortissimi accordi di esortazione (ma anche un po' di ammonizione) e poggia su un ostinato ritmico martellante ottenuto con un breve inciso di note discendenti ripetuto per una quarantina di volte; il tutto si accompagna ad un vigorosos crescendo (rossiniano?!) di fremente esaltazione.
A proposito di questa sezione, spesso pista per le gare di velocità dei pianisti-corridori, un allievo di Chopin ricorda che il crescendo non dovrebbe iniziare prima di una dozzina di battute (quando si giunge alla modulazione in re diesis maggiore) per mantenere il carattere nervoso ed eroico insieme.
Totalmente diverso è invece il tema che compare alla battuta 149 e che attenua l'affannosa tensione precedente perchè si distende in un canto lirico colmo di echi nostalgici.
Da ammirare il geniale procedimento tonale usato da Chopin per il ritorno del tema principale: la conclusione, infatti, presenta una riaffermazione più energica e travolgente, rinnovata e più fulgida del tema iniziale, ora in forma accorciata, e nella coda finale si scatena tutta l'irruenza del brano che termina con una breve serie di accordi risolutivi in scampanio di giubilo.

sabato 18 aprile 2009

la notte (4)

Nell’opera di Shakespeare, Sogno di una notte di mezza estate, la notte è vista come un momento di intrighi, di magie, di fate e di folletti che tramano scherzi. Mendelssohn (1809-1847) compose nel 1843 delle musiche ispirate a quest’opera teatrale: Sogno di una notte di mezza estate op.61.
L’allegro appassionato si trova alla conclusione del secondo atto e introduce i personaggi del terzo. La sua forma è bipartita. Fin dalle prime battute ascoltiamo i fremiti dell’orchestra che simulano il brulicare di personaggi fantastici nel bosco, che tramano scherzi e malefici, burlandosi di tutti. Il fremito è realizzato dagli strumenti ad arco che suonano rapide note ribattute, creando una specie di tappeto sonoro sul quale emergono gli strumenti a fiato; la melodia è costituita da piccoli frammenti musicali eseguiti dai legni (flauti, oboi, clarinetti) e dai violini: ne risulta un effetto timbrico estremamente vario e cangiante. Il fraseggio della musica in questa prima parte risulta inquieto e ansimante ma ad un certo punto il brusio creato dagli archi cessa per poi riprendere in concomitanza con una melodia calda e intensa affidata ai violoncelli e ai fagotti. La prima parte si chiude smaterializzando gli elementi musicali: a poco a poco cessano prima il fremito degli archi, poi il frammento melodico dei fiati che si disintegrerà in un pulviscolo di note evanescenti. La seconda parte coincide con l’entrata in scena di strani personaggi: sei rustici artigiani un po’ ridicoli che richiamano un ambiente campagnolo: per questo la melodia che accompagna il loro ingresso ricorda quella delle cornamuse ed è affidata a due fagotti. In seguito gli altri strumenti dell’orchestra si sommano gradualmente ai precedenti creando un crescendo di intensità.

Questo breve percorso nei meandri musicali della notte potrebbe ben concludersi con il finale del Concerto op.10 n.2 di Vivaldi: un Allegro, un brano notevolmente elaborato, di grande effetto strumentale e ritmico, che sembra annunciare l’arrivo dell’alba tramite anche la sua introduzione che fa proprio attendere l’arrivo del tema che sembra tardare, come l’alba dopo una lunga notte passata magari al chiaro di luna o sprofondati in un sonno riempito dalla presenza di personaggi fantastici.

venerdì 17 aprile 2009

la notte (3)

La Sonata in do diesis minore op.27 n.2 di Beethoven (1770-1827) è nota con il titolo Chiaro di luna. Ma titoli romantici come questo vennero di rado apposti dall’autore (mi viene in mente anche La Tempesta). Questa denominazione, infatti, fu coniata dal poeta Ludwig Rellstab il quale dichiarò che questa sonata evocava a lui una passeggiata notturna “al lume di luna” sul lago dei Quattro Cantoni. Prima di allora, questa sonata fu soprannominata dai contemporanei di Beethoven come “sonata della pergola” nella convinzione che l’autore l’avesse ideata all’ombra di un pergolato. Secondo altri, invece, che dichiarano di aver ricevuto le confidenze di Beethoven, il celebre primo movimento sarebbe stato improvvisato presso il catafalco di un amico e risulterebbe dunque una marcia funebre.
L’Adagio sostenuto porta l’indicazione “sempre pianissimo” di pugno dell’autore. Dai registri gravi del pianoforte, in modo quasi mormorante, prende vita la risonanza austera e grandiosa che fornisce il controcanto alla melodia. Questa fiorisce dolcemente alla quinta battuta, e canta sull’accompagnamento che ha un suono dalla rassicurante ciclicità. La pagina poi si svolge con andamento fluido e continuo tanto da dare l’impressione che il tempo venga abolito (effetto infrequente all’epoca). La natura malinconica del brano cresce man mano che esso progredisce, come se l’autore volesse lasciar trasparire le sue incertezze esistenziali. Così suona anche l’epilogo, con il suo accompagnamento che svanisce nelle ottave basse dello strumento dalle quali era nato.

Anche Debussy (1862-1918), ispirandosi alle poesie di Paul Verlaine, decise di comporre una pagina intitolata Chiaro di luna all’interno della meravigliosa Suite bergamasque. È un andante molto espressivo, pagina sognante dall’inizio esitante; il canto ha un profilo spezzato, non ben definito. È la stessa luce naturale che rischiarava la Sonata di Beethoven ed è sempre una luce in contrasto con quella piena e calda del sole; ma non è strano pensare che siano situazioni abbastanza diverse quelle che si svolgono alla luce della stessa luna. Prima eravamo quasi avvolti ed abbracciati (sensazione dovuta anche al tipo figurazioni utilizzate) da raggi seppur flebili, ora invece, all’interno di figurazioni spesso frammentate, sembra proprio di rimpiangere quel calore e quella pienezza di luce che sono proprie del giorno.

giovedì 16 aprile 2009

la notte (2)

Quattro movimenti formano la Piccola Musica Notturna K 525 per archi, ultimata il 10 agosto 1787 da Mozart (1756-1792). Il primo è un Allegro in sol maggiore divenuto a dir poco celeberrimo.
Il primo tema di questo Allegro risulta dalla giustapposizione di tre frasi con tre diversi motivi: un’introduzione chiara e decisa; un primo motivo gioioso e fresco; un secondo discorsivo, grazioso e un po’ cerimonioso; un terzo più vivace, di chiusura.
Dopo la transizione, si arriva al secondo tema, in re maggiore, che prende uno spazio assai maggiore. La prima sezione presenta un motivo tematico molto caratteristico, che ci contrappone con la sua dolcezza alla grinta del primo tema; la seconda contiene un nuovo motivo tematico che vede l’aggiungersi di tutti gli strumenti nella seconda parte. Questa sezione viene ripetuta identica e ad essa segue la conclusione.
Viene da chiedersi: ma questa è musica notturna come lo è il Notturno di Chopin o il Concerto di Vivaldi? Mozart stesso lo attesta. Notturna certamente allora, però non senza luce: non c’è buio in questo brano (come anche negli altri tempi della Serenata). Forse allora siamo in una notte rischiarata dalla luce naturale della luna? Non pare, però, perché la notte lunare è, direi per definizione, calma e quieta, incantata e trasognata. Questa musica, invece, è vivace, briosa, talvolta sospirosa. Notte con luce artificiale, allora? Forse.
Serenata deriva da sera. Il titolo ci aiuta a capire qualcosa di più sul carattere di questa musica: musica nella notte illuminata dalla luce artificiale. La luce delle candele nelle tiepidi notti estive durante le quali si svolgevano nei parchi aristocratici e nei giardini borghesi le feste a cui la musica dava giocondità. Questa serenata fu composta per una circostanza a noi non nota ma sicuramente festosa. Forse l’ignoto committente non doveva essere di alto lignaggio perché una serenata scritta originariamente per cinque archi o fiati era proprio il minimo che si potesse decentemente avere per una festa. E la natura della musica è tale che un coreografo non faticherebbe a sfruttarla per un balletto. Allora è più chiaro il carattere di questa musica, la sua destinazione sociale, e anche la ragione di tutti i ritornelli disseminati nei quattro tempi, che ci sono perché si riascolta volentieri ciò che viene creato per essere gradevole, spiritoso e da ascoltare mentre si possono scambiare liberamente quattro chiacchiere.

mercoledì 15 aprile 2009

la notte (1)

La notte è il regno dei sogni, dell’ombra e del mistero e, proprio per questo, ha sempre attratto e affascinato tutti gli artisti.
Il XIX secolo ebbe molto riguardo e sensibilità per il fascino suscitato dalla notte. Forse proprio in contrasto con il secolo precedente, definito “era dei Lumi”, la cosiddetta “era romantica” amò più l’ombra che la luce, più l’inconscio che il conscio, più la logica del sogno che la progettualità razionale. La musica dell’Ottocento è infatti ricchissima di pagine che cantano il fascino della notte: basta pensare ai nomi di alcuni generi e composizioni come Notturni, Berceuses, e Barcarole.
Proprio dalla notte prende nome il genere musicale Notturno, nato all’inizio del 1800 in Irlanda con John Field. A lui è debitore Chopin (1810-1849) che di notturni ne compose una trentina. Tra di essi ve ne è uno, giovanile ma con un alto numero d’opus, che riprende in modo piuttosto evidente alcuni tratti dello stile di Field. Si tratta del Notturno op.72 in mi minore, risalente al 1827, che si caratterizza per un accompagnamento costante per terzine di crome (utilizzate spesso proprio dal maestro irlandese) e per la presenza evidente di due temi: il primo dolce e carezzevole, il secondo pieno di slancio.

Non mancano però riferimenti alla notte anche nei secoli precedenti. Basta pensare al Concerto n. 2 in sol minore op.10 per flauto e archi di Vivaldi (1678-1841).
Il primo tempo, un Largo, può essere a ragione letto come un esempio di “notturno barocco”. Il secondo tempo, Presto-Fantasmi, è un brano dagli accenti drammatici e assai mobili (che tuttavia poco e niente hanno a che fare con la drammaticità romantica) che vuole rappresentare gli incubi notturni di un dormiente ma che (forse anche come suggerisce il sottotitolo), è più adatto a descrivere, già a partire dalla sensazione di sorpresa iniziale, non tanto la paura quanto i giochi e divertimenti di piccoli fantasiosi spettri. Il terzo tempo, Largo-Il sonno, parte creando la situazione di un vero e proprio rilassamento da cui sorge poi una tenue melodia che vuole continuare a rappresentare la tranquillità e la dolcezza ma, al tempo stesso, tramite le armonie e gli effetti continuamente cangianti, anche il senso di sospensione e di immobilità generato dal sonno.

martedì 14 aprile 2009

la moldava

I poemi sinfonici raggruppati sotto il titolo La mia patria, descrivono paesaggi e leggende della terra di Bedrich Smetana (1824-1884). Al suo interno troviamo la celebre La Moldava che descrive il percorso del fiume omonimo che scorre tra il paesaggio, la gente e i monumenti della terra d’origine del compositore. All’inizio della partitura originale, il compositore fornisce una sintesi del percorso del fiume: all’ombra della foresta ceca troviamo due sorgenti, una calda e una fredda; dalla loro fusione scaturisce il fiume che, ingrossandosi progressivamente, attraversa boschi, dove riecheggiano battute di caccia, e un villaggio, da cui provengono canti e danze di una festa nuziale. Il corso d’acqua poi attraversa il misterioso mondo notturno al chiaro di luna e improvvisamente viene scosso e agitato dalle rapide di san Giovanni. Ormai ampio e maestoso, il fiume raggiunge Praga, dove saluta l’antico castello di Vyšehrad, per poi allontanarsi nella pianura boema.
Le sorgenti della Moldava. Il motivo delle sorgenti della Moldava è realizzato all’inizio da rapide figurazioni melodiche di due flauti, alternati al pizzicato degli strumenti ad arco. Le figurazioni, prima frammentarie, divengono continue e sono rinforzate dal timbro liquido dei clarinetti; poi il motivo passa agli archi, poco prima che venga enunciato il celebre tema della Moldava. In questa prima parte il tema torna quattro volte.
Caccia nel bosco. L’immaginaria scena di caccia, alla quale assiste il fiume scorrendo nel bosco, è annunciata improvvisamente dallo squillo delle trombe e dal riecheggiare di strumenti usati fin dall’antichità durante la caccia: i corni. A poco a poco il clima si raffredda grazie ad un veloce diminuendo.
Festa nuziale nel villaggio. Il fiume attraversa poi la pianura boema e giunge a un villaggio nel quale sono in corso i festeggiamenti per le nozze di due contadini: fresco e spensierato si leva il motivo di una danza simile alla polka. Durante la danza si sente anche il suono di uno strumento a percussione. Il motivo della danza diminuisce gradualmente d’intensità e diviene frammentario fino ad interrompersi.
Chiaro di luna. Improvvisamente alcuni strumenti a fiato emettono suoni prolungati che introducono in un clima misterioso e sognante. Mentre flauti e clarinetti riprendono un disegno melodico simile a quello dell’inizio, l’arpa suggerisce l’immagine del delicato movimento del fiume. La melodia dolce che caratterizza questa sezione è affidata ai violini. Sembra di assistere allo scintillio pallido della luna che si riflette sulla superficie dell’acqua. L’alba è preannunciata dal riecheggiare a distanza dei corni, che precedono di poco la ripetizione del tema della Moldava.
Rapide di san Giovanni. All’improvviso il tema del fiume viene violentemente interrotto da un rullo di timpani e da tutta l’orchestra. Il fiume ha raggiunto le rapide di san Giovanni e si agita in gorghi vorticosi. Il discorso musicale è improvvisamente tumultuoso e fremente. Vengono esplorati tutti i registri e le risorse dell’orchestra: ascoltando attentamente si sente emergere l’acutissimo fischio dell’ottavino alternato alle profonde voragini aperte dal suono dei tromboni. Oltre ai timpani è particolarmente evidente il suono di un altro strumento a percussione: i piatti. Una cascata conclude le rapide, come descritto dagli strumenti dell’orchestra che precipitano nel registro grave con scale discendenti.
La Moldava nel suo corso largo. Il fiume ha ormai raggiunto vaste dimensioni e perciò l’intera orchestra esegue il tema principale della Moldava; l’incedere risoluto e gioioso del fiume verso Praga è evidenziato dalla tonalità maggiore, mentre la sua maestosa grandezza è sottolineata dalla massiccia presenza degli ottoni.
Il castello di Vyšehrad. Attraversando Praga, il fiume rende omaggio a questo antico castello accennando all’inno nazionale. Il compositore sembra assistere al passaggio del fiume proprio dall’alto del castello e lo vede allontanarsi a perdita d’occhio fra le campagne boeme: un ampio arpeggio, che scorre fra i vari registri degli archi, viene suonato a poco a poco in diminuendo e rallentando. Come per effetto di una dissolvenza cinematografica, il corso del fiume si dilegua in lontananza. Concludono il poema due violenti accordi dell’orchestra.