giovedì 29 ottobre 2009

L'arte di sedurre con la musica di Arrigo Quattrocchi (1) Praga e Vienna

Le origini di Don Giovanni risiedono nel travolgente trionfo che il pubblico di Praga tributò, alla fine del 1786, a Le nozze di Figaro, l'opera su libretto di Lorenzo Da Ponte che era andata in scena sette mesi prima, il 1° maggio 1786, al Burgtheater di Vienna. Invitato a constatare di persona l'entusiasmo che la sua partitura aveva destato, Mozart giunge a Praga l'11 gennaio 1787. Quattro giorni più tardi poteva scrivere all'amico Gottfried von Jacquin: "[...] d'altro non si parla se non di Figaro, altro non si suona, intona, canta e fischietta se non Figaro. Non si assiste ad altra opera se non a Figaro e sempre Figaro. E' certo un grande onore per me." Praga, città di grandi tradizioni musicali, dotata di un pubblico di gusti raffinati e progressisti, garantì dunque al compositore un successo autentico e duraturo; mentre a Vienna, città di gusti più conformisti e "italianisti", Le nozze di Figaro avevano avuto un'accoglienza buona ma non univoca. Nella capitale dell'impero Mozart era considerato come un compositore geniale sì, ma stravagante e complesso, di ostica comprensione. Dal trionfo praghese ebbe origine dunque la commissione per una nuova opera, destinata al medesimo Teatro Nazionale, diretto da Pasquale Bondini, e alla medesima compagnia dell'impresario Domenico Guardasoni. Sulla genesi del futuro Don Giovanni non abbiamo molte informazioni. E' del tutto ovvio che, riguardo alla scelta del librettista, Mozart si rivolgesse a Lorenzo Da Ponte, che aveva redatto magistralmente il libretto delle Nozze di Figaro e ricopriva a Vienna il posto di poeta imperiale. Allo stesso Da Ponte dobbiamo una testimonianza diretta, conservata però nelle sue Memorie, pubblicate a oltre trent'anni dai fatti. Vi si legge di come il poeta scrivesse contemporaneamente tre libretti diversi, per i compositori Antonio Salieri, Vicente Martin y Soler e appunto Mozart.
"Pensai se non fosse possibile di contentarli tutti e tre e di far tre opere a un tratto. Salieri non mi domandava un dramma originale. Aveva scritto a Parigi la musica all'opera del Tarar [...] e me ne domandava quindi una libera traduzione. Mozzart e Martini lasciavano a me interamente la scelta [del soggetto]. Scelsi per lui il Don Giovanni, soggetto che infinitamente gli piacque, e L'arbore di Diana pel Martini [...]. Trovati questi tre soggetti, andai dall'imperadore, gli esposi il mio pensiero e l'informai che mia intenzione era di far queste tre opere contemporaneamente. - Non ci riuscirete! - mi rispose egli. - Forse che no - replicai; - ma mi proverò. Scrivero la notte per Mozzart, e farò conto di leggere l'Inferno di Dante. Scriverò la mattina per Martini, e mi parrà di studiar il Petrarca. La sera per Salieri, e sarà il mio Tasso".
Autoelogiative e, in sostanza, poco utili sono le osservazioni di Da Ponte, da prendersi con cautela. Nessuna notizia diretta della collaborazione fra librettista e compositore. E nella corrispondenza di Mozart nessun accenno vi è alla stesura della partitura, che si stima sia stata iniziata nel mese di marzo. Al più tardi nel mese di agosto fu fissata la data della prima esecuzione, il 14 ottobre, per celebrare il passaggio a Praga dell'arciduchessa Maria Teresa, destinata in sposa al principe Antonio Clemente di Sasso­nia. A Praga Mozart arrivò il 4 otto­bre, con una partitura ancora incom­pleta (era consuetudine il rifinire l'opera a stretto contatto con gli in­terpreti); mancavano almeno l'aria di Masetto (n. 6: "Ho capito, signor sì"), il duetto iniziale del secondo atto (n. 14: "Eh via buffone") e l'intero Finale del secondo atto; nonché l'ouverture, che una testimonianza riconducibile alla vedova del compositore afferma essere stata scritta appena due notti prima della rappresentazione. Anche Da Ponte - subito dopo la prima del­l'Arbore di Diana di Martin y Soler - si recò a Praga, giungendovi il 7 ottobre, ma dovette far ritorno a Vienna sen­za aver assistito all'opera, richiamato dall'imperatore per curare il debutto dell'opera di Salieri, Axur, Re d'Ormus. Possiamo immaginare, secondo l'uso del tempo, un breve e serratissimo pe­riodo di prove nel quale Mozart fu im­pegnato ad insegnare una partitura nuova e difficilissima alla compa­gnia di canto. Così, il 15 ottobre Mo­zart poteva scrivere a von Jacquin: "Probabilmente lei crederà che a que­st’ora la mia opera sia già stata rap­presentata, e invece sbaglia, sia pur di poco. In primo luogo il Personale tea­trale di qui non è abile come quello di Vienna, al punto da imparare in così poco tempo un'opera del genere. In secondo luogo, al mio arrivo ho veri­ficato che le disposizioni e i preparativi erano a uno stadio così poco avan­zato che sarebbe stato assolutamen­te impossibile rappresentarla il 14, cioè ieri. Ieri dunque, con tutto il teatro illuminato, è stato rappresentato il mio Figaro, che ho diretto io stesso".
Dunque l'arciduchessa dovette ri­nunciare alla nuova opera, e conten­tarsi di una ripresa delle Nozze di Fi­garo; fissata per il 24, la prima subì un ulteriore rinvio per la malattia di una cantante. Finalmente, il 29 l'opera andò in scena, "accolta con il più vivo entusiasmo", come scrisse Mozart a von Jacquin. La Oberpostamszeitung di Praga del 3 novembre riferì dell'esito: "Intenditori e musicisti affermano che a Praga non si è mai sentito nien­te di simile. Herr Mozard [sic] in per­sona ha diretto: quando fece il suo in­gresso nell’orchestra fu salutato con una triplice acclamazione, e lo stesso accadde quando la lasciò. Per di più l’opera è estremamente difficile da eseguire e tutti ammirarono la buona esecuzione che ne è stata fatta no­nostante la difficoltà e dopo un perio­do di studio così breve. Sul palcosce­nico e in orchestra, tutti hanno fatto il massimo sforzo per ringraziare Mozard, ricompensandolo con una buona esecuzione. [...]. Il pubblico in­solitamente numeroso dimostra la unanime approvazione". Secondo Franz Niemetschek - musicografo boemo, autore, nel 1798, di una impor­tante Vita di Mozart - "Quando, per la prima rappresentazione, Mozart apparve in orchestra, dove suonava la parte del clavicembalo, il teatro pie­no da scoppiare l'accolse con un tuo­no di applausi"; testimonianze, que­ste, eloquenti del particolare legame fra il compositore e la città, dove Don Giovanni rimase stabilmente in reper­torio per i decenni successivi. Ben di­versa la sorte che attendeva l'opera di Mozart a Vienna. Significative a que­sto proposito, anche se in parte fuor­vianti, le parole di Da Ponte: “Io non avea veduto a Praga la rappre­sentazione del Don Giovanni; ma Moz­zart m'informò subito del suo incon­tro maraviglioso, e Guardassoni mi scrisse queste parole: 'Evviva Da Pon­te, evviva Mozzart. Tutti gli impresa­ri, tutti i virtuosi devono benedirli. Fin­ché essi vivranno, non si saprà mai che sia miseria teatrale'. L'imperado­re mi fece chiamare e [...] mi disse che bramava molto di vedere il Don Gio­vanni. Mozzart tornò, diede subito lo spartito al copista, che si affrettò a ca­vare le parti, perché Giuseppe dove­va partire. Andò in scena, e... deggio dirlo? il Don Giovanni non piacque! Tutti, salvo Mozzart, credettero che vi mancasse qualche cosa. Vi si fecero delle aggiunte, vi si cangiarono delle arie, si espose di nuovo sulle scene; e il Don Giovanni non piacque. E che ne disse l'imperadore? - L'opera è divina, è forse forse più bella del Figaro, ma non è cibo pei denti de' miei vienne­si -. Raccontai la cosa a Mozzart, il quale rispose senza turbarsi: - Lasciam loro tempo da masticarlo -. Non s'in­gannò. Procurai, per suo avviso, che l'opera si ripetesse sovente; ad ogni rappresentazione l'applauso cresceva, e a poco a poco anche i signori vien­nesi da' mali denti ne gustaron il sa­pore e ne intesero la bellezza, e pose­ro il Don Giovanni tra le più belle ope­re che su alcun teatro drammatico si rappresentassero".
In realtà a Vienna Don Giovanni, anda­to in scena non immediatamente, ma il 7 maggio 1788, ebbe in tutto appe­na quindici recite, l'ultima delle qua­li il 15 dicembre; tutte le fonti sono concordi sulla sostanziale freddezza dell'accoglienza. E questo nonostante la presenza di una compagnia di can­to di sicuro rilievo, nella quale, accan­to a cantanti italiani, agivano anche due star tedesche come Caterina Ca­valieri (in realtà Franziska Kavalier) e Aloysia Lange. Le scarne testimonian­ze dei contemporanei (“M.me de la Lippe trouve la musique savante, peu propre au chant"; "La Musique de Mo­zard est bien trop difficile pour le chant”, scrivono spettatori dell'epoca) suggeriscono che la ricchezza dell'or­chestra mozartiana risultasse sgradi­ta ai viennesi, che prediligevano, se­condo le tendenze italianiste, il pre­dominio della vocalità. Fatto sta che proprio con l’insuccesso del Don Giovanni doveva cominciare la parabola discendente delle fortune del compo­sitore nella capitale. La testimonian­za di Da Ponte introduce ad un'altra questione, quella delle modifiche ap­portate da compositore e librettista all'opera per le rappresentazioni vien­nesi (prima delle recite, comunque, e non nel corso di esse, come vorrebbe Da Ponte). Quella di adattare l'opera alle esigenze della nuova compagnia di canto era una prassi del tutto co­mune, e si comprende come Mozart ritenesse di dover gratificare con una pagina adeguata una virtuosa come la Cavalieri, e, forse, di dover semplificare i compiti del tenore Francesco Morella. Tuttavia Mozart e Da Ponte intervennero con modifiche più incisive e tali da influire sulla drammaturgia, relative a una comples­siva ristrutturazione delle scene suc­cessive al grande Sestetto del secondo atto (n.19, "Sola sola in buio loco"). Queste modifiche possono essere riassunte in tre punti:
1) L’aria di Don Ottavio (n. 21, "Il mio tesoro intanto"), probabilmente sgra­dita al tenore Morella per le difficili coloratura, fu soppressa. Il cantante fu compensato con una nuova aria, (n. 10a, "Dalla sua pace"), collocata però in un altro punto dell'opera (al termi­ne del recitativo "Come mai creder deggio", atto 1, scena XIV).
2) L’aria di Leporello (n. 20, "Ah pietà signori miei") fu soppressa e sostitui­ta con un breve recitativo. Di segui­to - poche battute di recitativo più ol­tre - gli autori inventarono una nuo­va scena buffa, un duetto fra Leporel­lo e Zerlina, (n. 21a, "Per queste tue manine"), incorniciato fra due nuovi recitativi.
3) Di seguito al duetto Leporello-Zer­lina gli autori aggiunsero una grande scena e aria per Donna Elvira (n. 21b, "In quali eccessi, o Numi - Mi tradì quell'alma ingrata"), una pagina dram­matica pensata su misura per la disin­volta coloratura di Caterina Cavalieri.
Su una quarta modifica, attestati da fonti autorevoli, sono stati avanzati molti dubbi. Secondo il libretto stam­pato per le rappresentazioni vienne­si la "Scena Ultima" dell'opera fu sop­pressa, e l'opera venne fatta termina­re alla morte di Don Giovanni con la seguente didascalia: “il foco cresce D. Gio. si profonda; nel momento stesso escon tutti gli altri; guardano, metton un alto grido, fuggono, e cala il sipa­rio". Questo nuovo finale sembra confermato dall'aggiunta, sull'autografo, di un accordo di re maggiore sul­l’esclamazione "Ah!", affidato a tutti i personaggi in coincidenza del "gri­do" di Leporello (sembra oggi tramon­tata l'ipotesi di uno studioso che l'aggiunta dell'accordo non sia di mano di Mozart). Ma questo accordo risulta poi cancellato sull'autografo. Mozart potrebbe aver reintegrato la "Scena Ultima" (o parte di essa, sen­za il duettino Anna-Ottavio) nel cor­so delle repliche. Purtuttavia non è possibile, allo stato attuale delle co­noscenze, giungere a conclusioni de­finitive su questo punto.