giovedì 30 aprile 2009

la gioconda

Quasi a fare da legame (credo proprio non voluto) con il Gotterdammerung fiorentino trasmesso da radio3, radio crazy opera ha inserito nel suo palinsesto notturno un'edizione storica de La Gioconda di Ponchielli con la Callas (alle prese con la sua prima incisione di un'opera completa), Poggi, Silveri, Barbieri e la direzione di Votto.
Interessante la coincidenza di queste due opere entrambe rappresentate per la prima volta nel 1876. D'altra parte La Gioconda è considerata da alcuni un'opera popolare romantica costruita sui modelli delle opere romantiche straniere tenendo però presente l'esperienza verdiana (rigettata ma imprescindibile). Dal 1855, infatti, con l'andata in scena alla Scala de Il Profeta (e, fino al 1870, del Faust, de L'Ebrea e de La muta di Portici), il pubblico italiano venne a contatto con il grand-opéra francese. Nel 1871, poi, con la prima bolognese del Lohengrin, e nel 1872 con la prima scaligera de Il franco cacciatore, venne inaugurata in Italia anche la stagione dell'opera romantica tedesca e wagneriana in particolare.
Mettendo insieme l'entrata in scena delle sensibilità francesi e tedesche (non solo in campo operistico ma anche sinfonico) con alcune irrequitezze e insoddisfazioni diffuse nel clima musicale italiano (testimoniate anche dagli ultimi esiti verdiani), non c'è da meravigliarsi che in alcuni musicisti e librettisti fosse vivo il desiderio di un rinnovamento del melodramma.
Proprio a Milano, il centro musicale che più viveva le contraddizioni in ambito operistico, vennero alla luce I Lituani (opera di Ponchielli su libretto di Ghislanzoni commissionata da Giulio Ricordi, che, pur scomparsa dagli attuali cartelloni, fu ben accolta nel 1874). Fu così che a Ponchielli si aprì la strada del successo che lo portò ad impegnari in un nuovo libretto (quello per La Gioconda, appunto) proveniente dall'ambiente della scapigliatura milanese e steso da Arrigo Boito nascosto nello pseudonimo Tobia Gorrio.
A testimonianza della temperie vissuta in quegli anni (incorniciati, ad esempio dalle rappresentazioni di Aida nel 1872 e di Otello nel 1887), parlano da sole le lettere scritte dallo stesso Ponchielli che, da una parte ebbe modo di constatare il crescente favore per le nuove tendenze, dall'altra esprime i suoi forti dubbi sul gradimento della nuova opera da parte del pubblico (sottolineando, in particolari, certi aspetti del libretto in alcuni punti piuttosto truculenti): L'altra sera al Rigoletto un certo tale di difficile contentatura disse che la cavatina del Rigoletto è una boiada e la cabaletta con baritono del primo duetto: cosa che non va più! Ma cosa deve andare adesso? - Leggo e rileggo i due atti di Boito, che trovo bellissimi, ma temo che la musica corrisponda alla difficoltà del libretto, e cioè di riuscita difficile e di genere non facile. Allora io domando a me stesso: E il pubblico? Io credo che per il pubblico italiano occorra di non accarezzare troppo il dramma, altrimenti bisogna cadere nei ritmi che non colpiscono l'orecchio, bisogna adoperare l'orchestra e, in ultimo, richiedonsi artisti che non abbiamo e che forse anche all'epoca di Rossini, di Bellini, ecc., ben pochi ce ne saranno stati. In un melodramma il pubblico vuol sentire la musica, la melodia; invece qui l'elemento principale è il parlato.

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